Una politica teatrale dissennata
Il caso Mibact
Ancora un’esclusione incredibile, vergognosa, dal novero del teatro “riconosciuto” dal Ministero: dopo mezzo secolo di arte, Riccardo Caporossi è stato cancellato

Può darsi che la Commissione Consultiva per il Teatro presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – quella che valuta le richieste di contributo – non sappia che cos’è l’Associazione culturale Club Teatro. È l’unica speranza. L’unica speranza per trovare un barlume di criterio (seppure legato all’ignoranza) nell’esclusione di Riccardo Caporossi dal bizzarro paesaggio del teatro italiano variamente riconosciuto o assistito così come viene fuori dal nuovo regolamento approvato la scorsa estate dal Mibact. Già, perché Club Teatro è il nome storico con il quale da quasi mezzo secolo hanno segnato di sé l’arte italiana e il nostro immaginario Rem&Cap, ossia Remondi & Caporossi, ossia Riccardo Caporossi rimasto solo – eppure ancora straordinariamente attivo – dopo la morte di Claudio Remondi. Bene, a fronte di una piccola richiesta di riconoscimento pubblico da parte di Riccardo Caporossi per la sua attività di formazione professionale (da anni Cap si dedica con tenacia alla genesi di nuovi artisti) la Direzione generale per lo Spettacolo dal Vivo del Mibact, sentita la sapiente Commissione Consultiva per il Teatro, ha bocciato questa richiesta. Il bagaglio enorme di Rem&Cap non esiste più e il loro metodo creativo non ha più cittadinanza nelle nostro istituzioni.

Questa è, semplicemente, una vergogna.

 

È una vergogna che in nome di non è più ben chiaro quale razionalizzazione del contributo pubblico per l’arte teatrale si stiano cancellando pezzi di storia ancora pienamente vitali: solo qualche mese fa mi è capitato di assistere ad un piccolo gioiello scenico ordito da Riccardo Caporossi con i suoi “allievi” (clicca qui per leggere la recensione). Quindi non sto parlando solo di “memoria” (la memoria è quanto più abborrito nella nostra epoca del commercio e della finanza) ma pienamente di contemporaneità.

remondi e caporossi4Insomma, qualche giorno fa, avevo lamentato il trionfo della monocultura teatrale a proposito dell’esclusione del Teatro Due di Roma dai soggetti riconosciuti dal medesimo Mibact (clicca qui per leggere il commento); eccoci adesso di fronte a un atto di pirateria artistica se possibile ancora peggiore. Stavolta non si tratta di sollevare il «Caso Remondi» ma al contrario di puntare il dito sul «Caso Mibact», ossia sul marasma di norme, numeri e algoritmi che hanno finito per annullare (consapevolmente? Deliberatamente?) presenze e differenze scomode. Non solo è assurdo che Riccardo Caporossi si veda escluso, per i prossimi tre anni, dal panorama del teatro istituzionalmente riconosciuto, ma è uno scandalo che il teatro di Rem&Cap non abbia una casa: che non ci sia un posto per la loro memoria, che non ci sia una casa per il loro teatro futuro. Ricordo che una volta, sembra mille anni fa, Rem&Cap vennero ospitati per un lungo laboratorio nell’allora Limonaia di Villa Torlonia. Quello spazio – così vanno le cose a Roma – oggi ospita una sontuosa pizzeria, ma accanto ad essa c’è pur sempre il (bizzarramente restaurato) Teatrino di Villa Torlonia. Ebbene: perché il Comune di Roma non raccoglie lì dentro l’eredità di Rem&Cap facendone una sorta di laboratorio permanente di creatività contemporanea? All’esterno dal Teatrino (chi lo conosce sa che il palcoscenico è chiuso sul fondo da una enorme vetrata affacciata su Villa Torlonia) si potrebbe sistemare ciò che resta delle strutture sceniche di Ameba, di Rotobolo o altri spettacoli di Rem&Cap. Possibile che non ci siano i pochi spiccioli che servirebbero per un’operazione del genere?

remondi e caporossi2Il fatto è che ciò che resta del teatro, in Italia, è ormai un condominio di piccolissimi, miserabili privilegi: ciascuno si tiene stretta la propria elemosina temendo di dover rinunciare anche ad essa. Ciascuno tace nel timore di essere messo fuori dalla porta da chi decide e ha il potere di stabilire chi siano i sommersi e i salvati. E invece occorrerebbero uno scatto d’orgoglio, una voce possente, un moto di rabbia collettiva per imporre alle burocrazie di togliere le mani dalla creatività, per ridare dignità a chi fa arte e, per questo solo fatto, merita prima di tutto rispetto e in secondo luogo sostegno. L’unica riforma che occorre a questo disgraziato Paese è tornare a imporre il rispetto per le intelligenze, le culture, la creatività. In sua assenza, continueremo a essere preda di poteri e amministratori prevaricanti o malvolenti o ignoranti a fronte dei quali ogni protesta sarà inutile. Come rischia di essere questa mia, del resto.

Articolo orginale su http://www.succedeoggi.it/2015/07/il-caso-mibact/