ispirato al racconto Basta di Samuel Beckett
Scritto e diretto da Riccardo Caporossi
Interpreti: 24 attori
passaggi Tommaso Le Pera Photoright tutti i diritti riservati
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Due esseri umani in “perpetuum mobile”. Uno apparentemente giovane in posizione eretta, l’altro apparentemente vecchio piegato in tre, anatomica condizione. Camminano insieme stretti per mano, con un solo paio di guanti. Come durata l’intera vita. La loro comunicazione è dettata da un codice composto di richiami e operazioni eseguite tra l’erba che calpestano, il cielo e il profilo dell’orizzonte. Attenzione: nessuna parola li tradisce ma nella silenziosa gamma delle posizioni comunicative bersagliano le piccole e grandi cose che governano l’universo. Cammina, cammina misurano il passaggio. Questa situazione immutabile si moltiplica. Una processione di corpi. Un continuo movimento. Sembra un giro vizioso per comporre una catena che blocca e imprigiona l’immutabile condizione; come il camminare in un tetro perimetro, durante l’ora di sole, di una squadra di carcerati.

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Per il pubblico la visione di un solo lato, di fronte ad un tratto di strada infinita e arida sulla quale vengono impresse orme su orme. Una visione immutabile. Da destra verso sinistra. La quiete sui solitari passaggi. Brevi interruzioni per brevi comunicazioni. Immutabili e mute mutazioni. Uno si sostituisce all’altro. Si lasciano cadere a terra. Dormono. Due corpi; un corpo solo. Breve attimo di riposo o attesa interminabile. Sogno tormentato dal passaggio di una scura massa informe. Si rialzano. Ripartono. L’eretto passa ad essere compagno del piegato che lo precede o di quello che lo segue. Oppure il piegato, abbandonato il proprio compagno, guadagna il nuovo che sopraggiunge o quello che sta per raggiungere. Suoni atoni; fischi brevi, prolungati, riprodotti dopo lunghi intervalli, sembrano raccogliere e trasmettere sarcasticamente l’emissione del respiro accumulato dalla moltitudine. Importante funzione della luce: una fessura che man mano si allarga e arriva a coprire l’intero spazio, per poi di nuovo chiudersi con la stessa lentezza, come un battito di palpebra dilatato alla durata dell’intero spettacolo.

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