di Riccardo Caporossi

Rem & Cap sono stati e sono ancora personaggi scomodi tanto che si è deciso con l’ipocrisia del nuovo ordinamento, di farli fuori. 45 anni di storia del Teatro, cancellati proprio da quell’istituzione che avrebbe dovuto esserne orgogliosa.

Ci scandalizziamo dei miliziani dell’Isis che distruggono le tracce del passato con la volontà di cancellare la memoria. Dobbiamo renderci conto che funzionari dello Stato operano emulando comportamenti analoghi. Come del resto lo è per la corruzione, il sistema clientelare, protezionistico di lobby e caste; i piccoli e miseri interessi che serpeggiano nel mondo del teatro.

Sono costretto a difendere non solo tutta l’attività che ho svolto con Claudio Remondi ma l’immaginario e l’utopia che ha distinto il nostro teatro. Oltre alla straordinaria avventura teatrale, qualcosa di più complesso e concreto: quel lavoro politico, democratico di civiltà e umanità che è stato e continua ad essere il nostro teatro.

Ora questa esclusione capita proprio in un momento in cui le mie scelte artistiche si orientano nel coinvolgere un intero territorio: naturale, paesaggistico, archeologico (tale è la suggestione ancorata a quel mito tragico,inquieto e sereno al tempo stesso, che pervade la nostra esistenza) che vale, come palcoscenico, molto di più di quelli di tutti e sette i teatri nazionali. Con in più l’ambizione di riuscire a coinvolgere tutta la popolazione di un hinterland romano perché questo progetto le appartenga assieme al territorio in cui vive e perchè tutte le persone che ne saranno partecipi, provenienti da qualsiasi luogo e di qualsiasi età, ne siano protagonisti. Un’antropologia che attraverso il teatro serva ad interrogarci sul ruolo e l’importanza della diversità globale. Il seme vale più della moneta. Può avere ragione di affermarsi un pensiero simile e cioè che il Teatro può cambiare chi lo fa e chi lo vede? E ancora: il lavoro artistico, di alto livello, può cambiare la comunità? Non che io mi metta a realizzare progetti di teatro sociale ma sono ben consapevole che il progetto che ho presentato attraversa tutti i punti di cui è composto l’articolo 43 (Azioni trasversali),articolo di riferimento per l’istanza che ho presentato.

Inoltre, ritengo che il Teatro non appartiene ai generi o a ciò che va di moda, appartiene a chi lo fa e soprattutto a chi lo sa fare. Non ho mai sbandierato, durante la mia attività il lavoro che ho svolto con giovani sordo-muti, con giovani non vedenti, con ragazzi tossicodipendenti in comunità di recupero, con anziani, bambini e giovani studenti. Con tutti ho realizzato spettacoli nei quali il gioco del teatro e l’operazione artistica tessevano la vita reale e l’immaginazione. Così altrettanto, quasi per una buona metà di questi 45 anni, l’attività è stata dedicata alla formazione di giovani attori, molti dei quali, attualmente, lavorano con altri soggetti o hanno costituito una loro compagnia. Dall’esordio del primo Progetto Speciale (triennale 1990-92) finanziato dallo stesso Ministero (senza parlare di tutta l’attività di laboratorio che ha segnato l’intera attività) i 15 attori che per tre anni hanno lavorato con noi, uscivano dalle varie accademie d’arte drammatica italiane. Protagonisti degli spettacoli che si sono realizzati e inseriti professionalmente nel mondo del lavoro teatrale. Esperienza decisiva per loro e per noi. Si perché lo scambio generazionale è un valore non trascurabile. Si, perché la formazione è la capacità di trasmettere il sapere relazionandosi all’altro in un fare artigianale che conduce per mano la generazione successiva in un territorio misterioso da scoprire e conoscere alla stregua dell’animo umano. Non a caso quel primo Progetto fu nominato “A passo d’uomo”. E’ stata una scuola senz’altro migliore di tutte quelle che si ritengono tali, istituzionali e non, nel variegato panorama in cui si polverizza l’arte del Teatro. Ben più interessante di una didattica di scuola, avevamo proposto, a seguito di quella esperienza, un Settore, all’interno di una struttura pubblica come un Teatro Stabile, da identificare come luogo per continuare questo nostro progetto di trasmissione e formazione. Furono gli amministratori di allora ad impedircelo ed oggi questa idea, come tante altre, è inserita nell’organico dei Teatri Stabili Nazionali.

E’ chiaro che al di là delle retoriche affermazioni e degli ingannevoli propositi degli interventi legislativi, la serietà, la qualità artistica e la maturità creativa di chi opera nel campo dello spettacolo sono del tutto subordinate a logiche commerciali, di consenso e di appartenenze che ci sono estranee.

Da sempre indipendenti nella gestione della nostra attività, paghiamo questa estraneità, ora con l’attuazione della radicale cancellazione della nostra esistenza da parte della Direzione Generale dello Spettacolo dal vivo che invece avrebbe il dovere di proteggere e conservare come un bene culturale di interesse nazionale.
Contemporaneamente all’informazione della nostra cancellazione ricevevo l’ennesimo premio la cui motivazione avrebbe dovuto siglare, da parte della Commissione la scelta del Progetto presentato: Premio Nico Garrone al Maestro  con la seguente motivazione: “a chi con sensibilità, intelligenza, mente aperta e flessibile, ha saputo offrire ascolto, dialogo, spazi creativi alle nuove generazioni, sapendo essere partecipe e generoso. Al valore perenne delle opere di Rem & Cap”. E’ il risultato di una votazione unanime, allargata al mondo del Teatro, con la giuria composta da esperti pari agli esperti che compongono la Commissione ministeriale. E ,ancora, mi vengono in mente dichiarazioni scritte per noi da altri (esperti, critici, docenti,…)  e portate a pubblica conoscenza; ne cito soltanto tre, senza la loro firma per non fare torto a tutte le altre:

– Se in Italia il Teatro non fosse un mercato al soldo dell’occupante di turno questo tipo di teatro meriterebbe il titolo di “tesoro nazionale vivente”-

– Resta, con la gioia e la riconoscenza per le tante creazioni che ci hanno donato, il sottile rimpianto per quello che avrebbero potuto darci se l’intervento dello Stato italiano, in campo teatrale, fosse stato all’altezza  di quello che occorre ad artisti creativi, qualcosa che non richiede, forse, tanto un aumento dei finanziamenti, ma una diversa sensibilità e attenzione –

– Il teatro di Rem & Cap si è posto come costante contraltare- umano e filosofico- a tanta spettacolarizzazione superficiale e tecnologica: un teatro fatto di carne e persone, di gesti e oggetti sicuramente anomali rispetto agli abituali standard produttivi. Anche per questo, Rem & Cap hanno percorso una strada apparentemente marginale, svincolata dalle logiche produttive e di potere che segnano ancora oggi la vita teatrale nazionale –

Devo interrompere un lavoro che stavo portando avanti, anche se con le misere risorse che avrei potuto ottenere.
Avrei preferito continuare la mia attività artistica e mi ritrovo invece  a dovermi attivare per difendere tutto ciò che insieme a Claudio Remondi ho realizzato fino ad oggi, dal momento che lo Stato, o meglio, i rappresentanti dello Stato, unitamente agli esperti nominati e convocati lo hanno voluto cancellare non  preoccupandosi invece di sostenere ciò che considero lavoro per l’umanità.

Con grande amarezza scrivo questo documento perché non avrebbe dovuto essercene bisogno ma vedo che anche gli esperti della commissione vanno condotti per mano perché ripassino un po’ di storia in quanto non sono giustificabili per la loro dimenticanza e rischiano di essere additati di incompetenza trascinando con loro chi li ha nominati. Se l’ho fatto è per mettere tutti di fronte ad una parola chiave: responsabilità.
Ora tutti hanno quella di porre rimedio all’errore.

Termino richiamando il titolo che ho dato, citando la conclusione di un intervento di Claudio Remondi scritto nel 1990 (documento importantissimo proprio perché lui non c’è più, sull’analisi e la permanenza di logiche che ancora oggi governano il mondo del teatro – per leggerlo tutto vedere www.rem-cap.it):
“………allo Stato la grande responsabilità di come amministrare i fondi destinati al teatro……in me, grazie a quei trenta giovani attori, sta maturando l’idea di poter fare teatro, in un pessimo presente, dentro un guscio di tartaruga.”

Riccardo Caporossi